10.24.2009






















The importance of being Vasco Brondi. Un mio caro amico che ama la lingua italiana, e che canta in italiano, sostiene che Vasco Brondi abbia fatto nonostante tutto qualcosa di necessario. Che nonostante tutto ciò che gli si può appuntare (intelligentemente un altro amico qui ne dà un'analisi che condivido abbastanza) ha fatto qualcosa che qualcuno prima o poi doveva fare. Si è sporcato le mani lui, ha preso le sue parole, le ha urlate e le ha incise. Poi si potrà dire che il contesto emilian-ferrettiano in cui per forza di cose (non sarò io ad accusarlo di astuta consapevolezza) si è venuto a contestualizzare è ridicolo. Che se i cccp non ci sono più ci sarà pure un motivo. Anche i Nirvana non ci sono più, no? E' un pò quel cantarsi addosso, quella decadenza post-adolescenziale che una volta avremmo potuto definire brizziana, o comunque per molte cose dipendente dal mito di Bologna primi '90. Tutto spostato un pò più a nord, e senza quel quid di tenero che Bologna fino a qualche tempo fa poteva rappresentare per chi almeno per un paio di anni cruciali abbia vissuto di quel mito. Paradossalmente maledettismo punk e per niente post-punk. Forse sta qua il suo coraggio, la sua onestà, la sua schiettezza, pur nella malafede che vogliamo o no attribuirgli e al di là di ogni (probabile) furbizia. E' comunque qualcosa di liberatorio, qualcosa che in un certo senso personalmente sento più mio rispetto alle pose post-Mogway e Post-Strokes e a quasi tutto quello che è venuto dopo. Qualcuno che osa la banalità, ma è una banalità che è messa lì, davanti al naso di tutti, senza quella mascherina che per molti è l'inglese. Certo non è detto che questo discorso fili in tutto e per tutto. Io più di un paio di volte il suo disco non sono riuscito ad ascoltarlo, non lo comprerei mai, ma alle primarie voto Vasco Brondi.

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